«Emma non è più arrabbiata». Papà Guillermo sorride, accarezzando la figlia appena dimessa dal reparto di Rianimazione dell’ospedale infantile Regina Margherita. La bimba di 3 anni e mezzo sottoposta esattamente una settimana fa al trapianto di cuore - dopo un anno legata a un organo artificiale perchè affetta da una cardiomiopatia dilatativa, patologia incurabile se non con un trapianto- è serena da quando può stare di nuovo tutto il giorno con papà o mamma, dopo l’intervento durato 11 ore.
«Era arrabbiata e nervosa, in rianimazione - racconta il padre - perché né io né mia moglie potevamo rimanere a lungo accanto al suo letto, ma ora è di nuovo contenta, anche perché sa che presto potrà tornare a casa a giocare con la sorellina e con il suo cane Black».
Giorno dopo giorno, la tensione si allenta, come la i medici non hanno ancora sciolto la prognosi: fra una decina di giorni la piccola dovrà essere sottoposta a una biopsia cardiaca per scongiurare il rischio di rigetto, e solo a quel punto si potrà forse dare un tempo preciso al suo ritorno a casa.
È molto debole, Emma, sotto l’effetto di farmaci potentissimi. Debole ma finalmente libera dai tubi e da quella macchina grossa come un condizionatore dell’aria che l’ha fatta vivere, ma l’ha contemporaneamente costretta per 370 giorni a restare chiusa nella sua stanza di isolamento in Cardiochirurgia, dov’è tornata ieri mattina dopo sette giorni di terapia intensiva.
«Era arrabbiata e nervosa, in rianimazione - racconta il padre - perché né io né mia moglie potevamo rimanere a lungo accanto al suo letto, ma ora è di nuovo contenta, anche perché sa che presto potrà tornare a casa a giocare con la sorellina e con il suo cane Black».
Giorno dopo giorno, la tensione si allenta, come la i medici non hanno ancora sciolto la prognosi: fra una decina di giorni la piccola dovrà essere sottoposta a una biopsia cardiaca per scongiurare il rischio di rigetto, e solo a quel punto si potrà forse dare un tempo preciso al suo ritorno a casa.
È molto debole, Emma, sotto l’effetto di farmaci potentissimi. Debole ma finalmente libera dai tubi e da quella macchina grossa come un condizionatore dell’aria che l’ha fatta vivere, ma l’ha contemporaneamente costretta per 370 giorni a restare chiusa nella sua stanza di isolamento in Cardiochirurgia, dov’è tornata ieri mattina dopo sette giorni di terapia intensiva.
da La Stampa online
La storia di Emma è una storia toccante che ha avuto un esito positivo . Infatti parecchie settimane fa avevo letto sul quotidiano la sua storia triste di piccola bimba ammalata, costretta a vivere attaccata ad un grosso macchinario, che però stava per esaurire le sue funzioni. Se Emma non avesse trovato un donatore in tempi brevi, avrebbe anche potuto morire. Era una bimba infelice ed ammalata ed aveva chiesto di poter riabbracciare per una volta almeno il suo amato cane spinone di 24 chili, suo inseparabile compagno di giochi prima di entrare in ospedale. I medici le avevano dato il permesso e Black era stato accompagnato nella sua stanza di terapia intensiva, dove Emma aveva ritrovato il sorriso ed aveva potuto tornare a giocare con il suo cagnone adorato
Non sempre i miracoli succedono, ma questa volta sì. Un bimbo ligure di 5 anni e mezzo è morto per un’encefalite ed i suoi genitori hanno donato gli organi : il cuore del bimbo è stato dato a Emma in quanto compatibile
La mamma del piccolo donatore ha scritto una bellissima lettera al quotidiano La Stampa e non ci si può non commuovere a leggerla perchè questa donna che ha perso il suo piccolo, ha avuto il coraggio di pensare ad altri bambini che avrebbero potuto tornare a vivere grazie al suo non egoismo
" Due grandi occhi celesti ed intensi che incantavano chiunque li incrociasse, questa era la cosa che colpiva di più di Cesare. Un bel visino con un’espressione dolce che trasmetteva tenerezza.
Era un bambino buono di carattere, Cesare, un po’ capriccioso, a volte, come lo sono i bambini della sua età (cinque anni e mezzo), ma estremamente solare. «Tuo figlio ha sempre il sorriso», mi diceva spesso chi ci incontrava durante le nostre passeggiate.
E poi era vivace, esuberante, sempre di corsa, pieno di gioia di vivere.Eppure ne aveva passate tante quel piccolino, era già stato male altre volte, la prima volta che era finito in rianimazione non aveva ancora sei mesi. Ma aveva combattuto come un leone e ne era uscito.
Per ben tre volte era riuscito a sconfiggere il suo nemico, una malattia tanto rara quanto sconosciuta, causata da una mutazione genetica che lo predisponeva a pericolose reazioni autoimmuni in presenza del virus anche più banale. Aveva sempre vinto le sue battaglie ed era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle, tornando a essere un bambino felice, sereno.
Questa volta no, questa volta non è riuscito a contrastare l’attacco subdolo ed incredibilmente aggressivo del suo nemico, che in pochi giorni se l’è portato via, strappandolo impietosamente ai suoi affetti più cari. Non ce l’ha fatta, Cesare, nonostante i medici abbiano tentato l’impossibile per salvare la sua piccola e preziosa vita.
I giornali hanno scritto che, quando ci hanno chiesto se eravamo disposti a donare i suoi organi, non abbiamo avuto esitazioni nel dare il consenso. Non è vero.
Per me mamma è stata una decisione sofferta. All’inizio ho detto un no secco, categorico. Mi avevano appena comunicato che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stata solo questione di tempo, forse addirittura di poche ore. Ormai l’attività elettrica del suo cervello era cessata.
Difficile descrivere le emozioni che si sovrappongono nell’animo di una mamma a una notizia del genere. Disperazione, strazio e rabbia, tanta tanta rabbia. E poi il mio piccolino ne aveva già subite troppe in quei giorni, persino un intervento alla testa, una «derivazione» che doveva servire a diminuire la pressione intracranica. Anche questo si era rivelato inutile.
Non volevo che lo toccassero più il mio bambino, volevo solo che lo lasciassero stare in pace. Poi è subentrata la rassegnazione, la consapevolezza che, una volta staccato il respiratore, tutto sarebbe finito e il suo cuoricino avrebbe cessato di battere per sempre. Così, mio marito e io ne abbiamo parlato con calma e abbiamo pensato che forse quello di donare i suoi organi era l’unico modo per dare un senso alla nostra enorme tragedia, l’unico modo per non perdere Cesare totalmente e permettere che una o più parti di lui continuassero a vivere, nonostante tutto.
Abbiamo ripensato a un articolo che solo un paio di giorni prima avevamo letto sul giornale, mentre eravamo nella sala d’aspetto della Rianimazione. Parlava di una bimba, non ricordavamo né il nome né dove era ricoverata, ma ricordavamo perfettamente che viveva attaccata a un cuore artificiale e che aveva ancora poco tempo a disposizione. Abbiamo pensato a quanti bambini potevano essere in quel momento nella stessa situazione e a quanti genitori stavano vivendo il nostro stesso dramma. Abbiamo deciso di dire sì.
Il nostro Cesare non c’era più e non sarebbe più tornato, ma grazie a lui altri bambini altrettanto sfortunati avrebbero potuto avere almeno una possibilità. Perché negargliela? In fondo il nostro bambino nella sua breve vita ha avuto la possibilità di essere felice; è stato immensamente amato, ha potuto assaporare la gioia di correre, giocare, divertirsi, essere libero.
Ora il nostro pensiero va a quei bambini che hanno ricevuto i suoi piccoli ma importantissimi doni. Ci auguriamo di cuore che grazie a Cesare possano cominciare una nuova vita, una vita che permetta loro di correre verso la felicità, proprio come faceva lui. "
" Due grandi occhi celesti ed intensi che incantavano chiunque li incrociasse, questa era la cosa che colpiva di più di Cesare. Un bel visino con un’espressione dolce che trasmetteva tenerezza.
Era un bambino buono di carattere, Cesare, un po’ capriccioso, a volte, come lo sono i bambini della sua età (cinque anni e mezzo), ma estremamente solare. «Tuo figlio ha sempre il sorriso», mi diceva spesso chi ci incontrava durante le nostre passeggiate.
E poi era vivace, esuberante, sempre di corsa, pieno di gioia di vivere.Eppure ne aveva passate tante quel piccolino, era già stato male altre volte, la prima volta che era finito in rianimazione non aveva ancora sei mesi. Ma aveva combattuto come un leone e ne era uscito.
Per ben tre volte era riuscito a sconfiggere il suo nemico, una malattia tanto rara quanto sconosciuta, causata da una mutazione genetica che lo predisponeva a pericolose reazioni autoimmuni in presenza del virus anche più banale. Aveva sempre vinto le sue battaglie ed era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle, tornando a essere un bambino felice, sereno.
Questa volta no, questa volta non è riuscito a contrastare l’attacco subdolo ed incredibilmente aggressivo del suo nemico, che in pochi giorni se l’è portato via, strappandolo impietosamente ai suoi affetti più cari. Non ce l’ha fatta, Cesare, nonostante i medici abbiano tentato l’impossibile per salvare la sua piccola e preziosa vita.
I giornali hanno scritto che, quando ci hanno chiesto se eravamo disposti a donare i suoi organi, non abbiamo avuto esitazioni nel dare il consenso. Non è vero.
Per me mamma è stata una decisione sofferta. All’inizio ho detto un no secco, categorico. Mi avevano appena comunicato che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stata solo questione di tempo, forse addirittura di poche ore. Ormai l’attività elettrica del suo cervello era cessata.
Difficile descrivere le emozioni che si sovrappongono nell’animo di una mamma a una notizia del genere. Disperazione, strazio e rabbia, tanta tanta rabbia. E poi il mio piccolino ne aveva già subite troppe in quei giorni, persino un intervento alla testa, una «derivazione» che doveva servire a diminuire la pressione intracranica. Anche questo si era rivelato inutile.
Non volevo che lo toccassero più il mio bambino, volevo solo che lo lasciassero stare in pace. Poi è subentrata la rassegnazione, la consapevolezza che, una volta staccato il respiratore, tutto sarebbe finito e il suo cuoricino avrebbe cessato di battere per sempre. Così, mio marito e io ne abbiamo parlato con calma e abbiamo pensato che forse quello di donare i suoi organi era l’unico modo per dare un senso alla nostra enorme tragedia, l’unico modo per non perdere Cesare totalmente e permettere che una o più parti di lui continuassero a vivere, nonostante tutto.
Abbiamo ripensato a un articolo che solo un paio di giorni prima avevamo letto sul giornale, mentre eravamo nella sala d’aspetto della Rianimazione. Parlava di una bimba, non ricordavamo né il nome né dove era ricoverata, ma ricordavamo perfettamente che viveva attaccata a un cuore artificiale e che aveva ancora poco tempo a disposizione. Abbiamo pensato a quanti bambini potevano essere in quel momento nella stessa situazione e a quanti genitori stavano vivendo il nostro stesso dramma. Abbiamo deciso di dire sì.
Il nostro Cesare non c’era più e non sarebbe più tornato, ma grazie a lui altri bambini altrettanto sfortunati avrebbero potuto avere almeno una possibilità. Perché negargliela? In fondo il nostro bambino nella sua breve vita ha avuto la possibilità di essere felice; è stato immensamente amato, ha potuto assaporare la gioia di correre, giocare, divertirsi, essere libero.
Ora il nostro pensiero va a quei bambini che hanno ricevuto i suoi piccoli ma importantissimi doni. Ci auguriamo di cuore che grazie a Cesare possano cominciare una nuova vita, una vita che permetta loro di correre verso la felicità, proprio come faceva lui. "
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