lunedì 15 dicembre 2014

Intervento di Michele Beltrami all'Alpe Camasca

Ho incontrato Michele, il figlio del Capitano Beltrami, alla cerimonia di premiazione degli ultimi vincitori del Premio della Resistenza Città di Omegna 
In quell'occasione mi aveva promesso che mi avrebbe fatto avere alcuni dei suoi recenti interventi nei luoghi dove sono stati uccisi i partigiani del Novarese e del Cusio-Verbano -Ossola durante la seconda Guerra mondiale 
Pubblico per primo il suo discorso al Sentiero Beltrami  all' ALPE CAMASCA il 16 agosto 2014
Un grazie molto sentito a Michele per avermi permesso di pubblicare in questo blog le sue parole preziose 
Per non dimenticare Per riflettere su ciò che sta succedendo ora ... 

" Ogni volta che torno qui in Camasca penso che qui è iniziata l’avventura partigiana del papà e che in una di queste baite il papà e la mamma hanno passato insieme gli ultimi giorni, prima che la mamma ritornasse da noi figli e il papà proseguisse la lotta, fino al tragico epilogo di là dai monti.
Sul papà, sul suo ruolo nella Resistenza nel Cusio-Ossola, sulle cause e sull’opportunità della battaglia di Mégolo molto è stato scritto e molte parole sono state dette, anche qui, in altre occasioni.
Io voglio oggi riprendere invece quanto scrisse nel lontano settembre 1946 Piero Calamandrei, recensendo su “Il Ponte” la prima edizione del libro della mamma “Il Capitano”. È, per me, non solo della più bella e commossa recensione del libro, ma anche del più bel ritratto dei nostri genitori.
Ve ne leggo alcuni passi, rammaricandomi di non avere, né di saper imitare, la calda parlata toscana che ci è riportata dalle registrazioni dei suoi discorsi.
" Allora, quando lo conobbi alla sfuggita, mi pare nell’estate dei ‘42, non era il “Capitano”: era soltanto un architetto, un professionista come tanti altri, taciturno forse e pensoso un po’ più degli altri. Ora l’immagine di lui, lasciatami da quel primo incontro distratto in mezzo ad altra compagnia, mi sfugge: eppure, ora, mi sarebbe assai cara e preziosa. Chi avrebbe potuto prevedere questo destino? Ricordo soltanto che, presentati da altri amici, salirono anche loro, i coniugi Giuliana e Filippo Beltrami, a vedere il tramonto [sulla pineta] dalla nostra terrazza. Mi par di ricordare che i coniugi Beltrami amavano stare vicini, senza mescolarsi alla conversazione, confidandosi a bassa voce, appoggiati alla ringhiera, le loro impressioni.
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Ora i pini non ci sono più: in quattro anni il mondo ha cambiato faccia. C’è un deserto calcinato al posto della pineta; e nessuno più sale ad ammirare il panorama dalla terrazza. di cui le cannonate hanno frantumato la scala. E l’architetto è diventato ‘il Capitano”: un’ombra eroica, il fondatore e l’animatore di una delle prime bande partigiane dell’Alta Italia, di cui per quattro mesi la gente nella zona dei laghi intorno a Omegna ha parlato come di un capo leggendario,fino a che, di azione in azione, il 13 febbraio 1944 è caduto a Mégolo, combattendo in campo aperto contro la battuta dei tedeschi e dei fascisti; lui e pochi fedeli, forse una ventina, contro un esercito.
Ed ecco che la moglie ora dedica all’ombra del “Capitano” questa prosa nitida e casalinga, colla quale ella si sforza di capire, e di far capire al lettore, perché egli ha preferito questa morte alla felicità: sicché il lettore non sa se più amare in queste pagine la franca naturalezza con cui quest’uomo libero, questo borghese senz’enfasi e senza retorica, sceglie la via della morte, o la discrezione con cui la moglie racconta di lui e di loro due, con quest’aria di sincerità trasparente e lieve che non fa pesare su chi legge il dolore di lei rimasta sola, e lascia nel ricordo un senso di purezza e quel sorriso solare che ha l’immagine di lui sulla copertina.
Alla fine del piccolo libro si pensa: “Dunque nel mondo possono nascere ancora uomini così: dunque il mondo non è finito...”. E questo pare un conforto; ma, più che un conforto, è un mistero. Da quale forza sono spinti gli uomini come questo? Era un uomo felice. Aveva l’amore della sua donna, aveva i suoi figliuoli, la gioia del lavoro, tutta una vita da vivere dinanzi a sè. Nessuno glielo imponeva, nessuno glielo chiedeva: era un borghese pacifico, senza ambizioni, non iscritto ad un partito. Ogni obbligo legale si sfasciava in quel momento (era la fine del settembre ‘43), ognuno andava per conto suo: tutti, lì dai laghi, si affrettavano a rifugiarsi in Svizzera. Sarebbe stato facile, anche a lui, mettersi in salvo colla sua famiglia: quale fu il misterioso movente che gli insegnò un’altra strada?
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Le pagine più toccanti di questo libro sono quelle che riferiscono i colloqui tra questa moglie e questo marito, che parlano a bassa voce, seduti dinanzi al fuoco nella villa solitaria o nella baita di montagna, dov’è il comando del “Capitano”. Intorno c’è l’ansia del pericolo; e loro due prima di addormentarsi conversano come due amici, in tono semplice, quasi scherzoso, timorosi di adoprare parole troppo grandi e troppo serie, quando il dialogo li porta a parlare di quello che è il punto d’incrocio di tutti i fili della vita: il perché della morte, il perché del dovere.
Nell’ultima sua lettera alla moglie, consegnatale dopo la sua morte, c’è una frase rivelatrice:
“...io ho voluto e desiderato questa prova, che mi viene imposta da un più alto e strano senso del dovere”. Anch’egli, alla vigilia della morte, mentr’era pronto ad obbedire a questa voce del dovere, ne avvertiva la natura misteriosa e inesplicabile: “alto e strano senso del dovere”. Anch’egli lo chiamava “strano”: estraneo, sì, a tutte le leggi utilitarie conosciute dai biologi."
Questo scriveva Calamandrei nel 1946. Lo stesso Calamandrei che, terminando il famoso discorso sulla Costituzione, pronunciò le parole che tutti noi antifascisti abbiamo stampate in testa e che è opportuno ricordare qui oggi:
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.
Il discorso fu pronunciato da Piero Calamandrei nel 1955 a Milano per l’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associativa.
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E fu proprio la mamma ad aiutare questi studenti a organizzare il ciclo di conferenze.
Ora, pensando al papà che su queste montagne si è sacrificato e alla mamma che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare e a diffondere la lettera e lo spirito della Costituzione nata dalla Resistenza, come posso io loro figlio, come possiamo noi loro figli non sentirci angosciati e offesi di fronte all’improvvida leggerezza con cui, e con quali alleanze, vengono affrontate oggi le riforme istituzionali.
Sarebbe bene che questi nostri giovani governanti seguissero anch’essi l’invito di Calamandrei e venissero in pellegrinaggio nei luoghi dove sono caduti i partigiani, nei luoghi dove è nata la nostra Costituzione. "

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