Il rumore sordo del passaggio dei treni è stato lo sfondo musicale di quel luogo enorme e doloroso che è il nuovo Museo della Memoria, un lungo tunnel in penombra e cemento armato, proprio sotto i binari della Stazione Centrale.
«Un rumore che dovete ascoltare, è il rumore che sentivamo noi, ammassati nel buio di questi stanzoni». Con queste parole di Liliana Segre, 82 anni, sopravvissuta all'Olocausto e ad Auschwitz, sembra di camminare tra quei vagoni piombati che aspettavano minacciosi sui binari morti
Aveva 13 anni Liliana quando una mattina di dicembre venne prelevata da casa insieme a suo padre per essere portata al quinto raggio di San Vittore. Lei tornò indietro. Suo padre, no, come milioni di altri uomini, ebrei, rom, testimoni di Geova, omosessuali, soldati, antifascisti e antinazisti
Aveva 13 anni Liliana quando una mattina di dicembre venne prelevata da casa insieme a suo padre per essere portata al quinto raggio di San Vittore. Lei tornò indietro. Suo padre, no, come milioni di altri uomini, ebrei, rom, testimoni di Geova, omosessuali, soldati, antifascisti e antinazisti
«Avevamo già passato tanti spaventi, la fuga, la cattura. E poi la carcerazione a San Vittore, così vicino a casa mia. Io ero nata in via San Vittore. Eravamo 5-600 in quei raggi del carcere. Un pomeriggio entrò un tedesco con la lista dei nomi. Sentii il mio, io ero nella cella 202. Ci guardavamo in faccia: anche tu? Anche tu? E non avevo il coraggio di guardare la faccia di mio padre. Non è possibile: siamo italiani, siamo nati qui e ci faranno partire...Eravamo in 500; pensate a questa umanità di madri, bambini, nonni, uomini che esce da San Vittore tra i saluti meravigliosi dei detenuti e della loro infinita umanità, per salire maltrattata sui camion che ci avrebbero portato fin qui, in Stazione Centrale, al binario 21. Si arrivava qui, proprio qui, dove ero venuta tante volte per partire e andare al mare o in campagna, tutti ammassati nel buio, impauriti...Ma non erano solo le Ss che spingevano o urlavano, c’erano anche tanti italiani, i repubblichini, i più zelanti, brutali, pronti a farsi vedere efficienti dai loro alleati.
Poi ci spingevano e dal buio uscivamo in stazione per salire su questi vagoni che venivano sprangati dall’esterno. Immaginatevi come eravamo ammassati, con poca paglia sul pavimento e un unico secchio immondo per i nostri bisogni, che la paura riempiva in fretta. ..
Ma perché degli uomini hanno fatto questo a dei bambini, anziani, donne incinte? Perché a dei nonni, dei malati, facevano questo? La loro colpa era quella di essere nati.
E così è cominciato quel viaggio verso Auschwitz che io non sapevo nemmeno dov’era. Un viaggio che non parte da qui ma da molto prima di qui. E’ cominciato dalle cancellazioni dei nostri nomi dagli elenchi telefonici, dalle espulsioni dalle scuole, dall’indifferenza.....
Il treno parte e noi vediamo passare città conosciute fino a quando, dopo una settimana, arriviamo ad Auschwitz. Ma come si può immaginare che dalla mia città si arrivi in un luogo del genere? Come si può immaginare tutto questo? E lì è cominciata un’esistenza dove ti dicono “vivrai finché lavorerai”, e tu non sai come ma sopravvivi, diventi scheletro e davanti a te vedi le ciminiere dei forni...Lo sentite questo rumore, questo treno che passa...Ci faceva paura. E’ il rumore giusto per questo posto. Ricordatevene. A me fanno pena quelli che negano, che non ricordano. I promotori della bugia e della menzogna. Ascoltatelo questo rumore.
Poi, dopo tante storie passate là dentro, in fondo tutte senza senso, ti accorgi che stranamente ce la fai, ce l’hai fatta. E torni, da sola. Nella Milano degli indifferenti. Io incontravo le amiche, le mie ex compagne di classe che mi chiedevano: “Ma come mai? A un certo punto sei sparita, non ti abbiamo vista più...”.
Oggi ho 82 anni e francamente non credevo che sarei riuscita a vedere questo luogo, questo Museo della Memoria. Io non ho più parlato per più di 40 anni di quello che mi era successo. Poi, 10 anni fa, abbiamo deciso questa sfida, abbiamo deciso che era giusto ricordare. Non è stato un percorso facile o in discesa. Ma sei milioni di morti potevano essere dimenticati se non si fosse voluto costruire un luogo del genere.
E adesso, ognuno di voi cerchi per un secondo di immedesimarsi in ognuna di quelle persone, di quei 605 milanesi che furono deportati per la sola colpa di essere nati». Era un giorno freddo, un giorno così. «Era il 31 gennaio del 1944».
Poi ci spingevano e dal buio uscivamo in stazione per salire su questi vagoni che venivano sprangati dall’esterno. Immaginatevi come eravamo ammassati, con poca paglia sul pavimento e un unico secchio immondo per i nostri bisogni, che la paura riempiva in fretta. ..
Ma perché degli uomini hanno fatto questo a dei bambini, anziani, donne incinte? Perché a dei nonni, dei malati, facevano questo? La loro colpa era quella di essere nati.
E così è cominciato quel viaggio verso Auschwitz che io non sapevo nemmeno dov’era. Un viaggio che non parte da qui ma da molto prima di qui. E’ cominciato dalle cancellazioni dei nostri nomi dagli elenchi telefonici, dalle espulsioni dalle scuole, dall’indifferenza.....
Il treno parte e noi vediamo passare città conosciute fino a quando, dopo una settimana, arriviamo ad Auschwitz. Ma come si può immaginare che dalla mia città si arrivi in un luogo del genere? Come si può immaginare tutto questo? E lì è cominciata un’esistenza dove ti dicono “vivrai finché lavorerai”, e tu non sai come ma sopravvivi, diventi scheletro e davanti a te vedi le ciminiere dei forni...Lo sentite questo rumore, questo treno che passa...Ci faceva paura. E’ il rumore giusto per questo posto. Ricordatevene. A me fanno pena quelli che negano, che non ricordano. I promotori della bugia e della menzogna. Ascoltatelo questo rumore.
Poi, dopo tante storie passate là dentro, in fondo tutte senza senso, ti accorgi che stranamente ce la fai, ce l’hai fatta. E torni, da sola. Nella Milano degli indifferenti. Io incontravo le amiche, le mie ex compagne di classe che mi chiedevano: “Ma come mai? A un certo punto sei sparita, non ti abbiamo vista più...”.
Oggi ho 82 anni e francamente non credevo che sarei riuscita a vedere questo luogo, questo Museo della Memoria. Io non ho più parlato per più di 40 anni di quello che mi era successo. Poi, 10 anni fa, abbiamo deciso questa sfida, abbiamo deciso che era giusto ricordare. Non è stato un percorso facile o in discesa. Ma sei milioni di morti potevano essere dimenticati se non si fosse voluto costruire un luogo del genere.
E adesso, ognuno di voi cerchi per un secondo di immedesimarsi in ognuna di quelle persone, di quei 605 milanesi che furono deportati per la sola colpa di essere nati». Era un giorno freddo, un giorno così. «Era il 31 gennaio del 1944».
Le bellissime e commoventi parole di Liliana sono la testimonianza di una sopravvissuta ebrea
Ma come lei e come tutti i sopravvissuti ebrei sopravvissuti non possono dimenticare, anch'io non dimentico, non riesco a dimenticare. Penso spesso a quei vagoni piombati che non portarono solo gli ebrei Su quei vagoni viaggiò anche mio padre con gli altri soldati italiani catturati poco tempo dopo l'8 settembre 43. E spesso mi immedesimo in lui e negli altri e immagino quei giorni sconvolgenti in un carro bestiame fino in Polonia, a Bialistok prima, a Buslau poi, e poi a Gorlitz, sempre nelle miniere E dopo il luglio 44 tutti gli altri lager , tutti gli spostamenti e i bombardamenti e i cani e i nazisti ...
Un incubo incredibile e poi il ritorno nel settembre 45 e l'indifferenza e l'incredulità di chi non credeva a quei racconti inverosimili E allora il silenzio Il cercare di dimenticare E gli incubi notturni rimasti nel tempo ad impedire l'obblio di quegli orrori
Ho conosciuto Liliana Segre attraverso le parole dei suoi libri e dei filmati delle Giornate delle Memoria degli anni scorsi Una donna coraggiosa e tenace A lei che ammiro moltissimo voglio dire solo che l'indifferenza degli Italiani non fu riservata solo agli ebrei , ma anche a tutti gli IMI che tornarono dai campi nazisti, sopravvissuti alla follia di Mussolini edi Hitler ed i tanti troppi fanatici seguaci di due regimi assurdi e terrificanti
Per non dimenticare Mai E per non perdonare nè il fascismo nè il nazismo che causarono tanto dolore tanto orrore e tante morti innocenti
2 commenti:
Io non ho esperienze che possano riguardare la mia famiglia, almeno di quella che ho conosciuto, ma posso capire cosa poteva essere vivere e lavorare ad Auswitz.
Quest'estate, sono andato in Polonia e un dei giorni della vacanza o'ho dedicato proprio lì. Sembra impossibile come in quelle stanze, anzi celle, possano storci persone, bambini e anziani.
Veramente terrificante, ancora di più, se si pensa come i tedeschi svolgevano tutto con la massima tranquillità e senza il minimo rimorso... Bisogna fare di tutto pur di non far. Più accadere una cosa simile.
grazie per il tuo prezioso intervento
arrivederci a scuola, martedì
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